La Madonna di Castelfranco, raffigurante "Maria in trono tra i santi", Francesco (protettore di casa Costanzo) ed un guerriero in armatura con orifiamma (un tempo creduto Liberale, quindi Giorgio e da ultimo Nicasio, protettore dei cavalieri dell'ordine di San Giovanni, di cui il committente fu l'Ammiraglio) fu dipinta da Giorgione, intorno all'anno 1505. 
L'occasione della sua fattura risale ad un lutto. Un giovinetto diciottenne, già condottiero di cinquanta lance a gli ordini della Repubblica, era morto nel 1504. Fu questi Matteo Costanzo, figlio di un illustre e nobile famiglia, dimorante in Castelfranco.
La famiglia Costanzo abitò dentro le mura del castello, della casa in vicolo del Paradiso, confinante con quella dei Barbarella. Il padre ebbe un affetto singolare nel ricordo verso il proprio caduto. Ornò di un altare nuovo (nella Chiesa Vecchia di dentro) la propria cappella gentilizia; a sigillo della tomba terragna pose una lapide con l'immagine rilevata del figlio e chiamò Giorgione, il pittore di maggior fama di Venezia, perché raffigurasse "l'amore materno di Maria" su di una tavola, con una visione di paese e figure di guerrieri nello sfondo. 
È nuovo il concetto di una tomba che, inserendosi nella prospettiva di una tavola dipinta, si illumina della luce effusa dal paesaggio figurato. La conversazione di Maria con i santi si concentra in un punto che è fuori dal quadro; è la salma adagiata sul marmo che chiude il sepolcro. Il quadro richiama uno spazio più ampio: gli sguardi convengono in una meditazione pietosa verso il giovane morto. Il complesso della cappella Costanzo è arioso ed armonico. 
Così si intuisce anche l'esigenza dell'affresco sulla volta che contrappunta la conversazione tra il mondo figurato ed il mondo reale, cioè la tomba. Si tratta di una figurazione di ambiente che coinvolge le cose nella luce: novità agli occhi degli uomini che assistono ad una veglia mortuaria. Il tema della sepoltura diventa spaziale. E mentre il soggetto della morte, cui gli occhi dei conversanti si concentrano, è fuori del quadro, nel paesaggio, al di là della coltre rossa, analoghi motivi di realtà instabili sono dipinti, per contrappeso, come le case dirute, le torri cadenti, i cascinali consunti, gli stagni a fiore di terra, dove il principio del vivere si unisce al suo aspetto di opposizione, in una dialettica di decadimento e resurrezione. 
La cappella scomparve con la demolizione della Chiesa Vecchia nel 1723. L'iscrizione sulla pietra tombale di Matteo Costanzo rievoca, nella sua epigrafe, le fattezze corporee del figlio, coerenti alle virtù del suo animo. 
Questa lapide, un tempo adagiata a sigillo della tomba pavimentale, ora è murata sulla parete sinistra della cappella nuova del Duomo. Le sorti della "Pala" seguirono le alterne vicende dei tempi. Per questo si dovè ricorrere a molteplici restauri. Se ne ricorda uno, eseguito dall'estroso pittore Vecchia nel 1674; una successiva saldatura fu effettuata dal Medi del 1731 con modifiche del paesaggio e del santo guerriero. 
Il restauro del Balzafiori del 1803 curò guasti e tolse aggiunte capricciose di precedenti ritocchi. Seguirono altri interventi, finché nel 1934 la Pala ebbe un definitivo restauro ad opera di Mauro Pelliccioli che restituì nella sua integrità l'intero paesaggio. Il dipinto dischiude in Venezia l'era della pittura, cioè la costruzione delle immagini con il solo calore, che è l'apparire delle cose nella luce, dove ogni realtà è comunicante, partecipe di un'emozione universale. 
L'insegnamento non poteva altro che procedere da Venezia, perciò anche da questa Pala di Castelfranco: esso è stato il linguaggio figurale che tosto si diffuse nell'Europa stupita e nel mondo. Nel settembre del 1935 la Madonna del Giorgione ebbe la sua nuova sede. 
Una cappella fu aperta nell'edificio del Duomo, a cura della Soprintendenza ai monumenti di Venezia. La cappella è semplice, aperta con due finestruole, con pancate e dossali di noce ai lati. Un altare di pietra chiara, con cornice dello stesso materiale, con i capitelli e architrave, racchiude il dipinto. La sobrietà architettonica e decorativa dona risalto alla pittura.
 

 
La Pala di Giorgione